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                      ‘U Rumit e Sant’Antonio. Tratto dal libro “Viaggiolento nel Pollino”

Mentre scendiamo da contrada Bocca di Lupo, sopra le montagne di Laino Borgo, seguendo un sentiero che taglia un fitto bosco vediamo in lontananza una sagoma. La visione è quella di un piccolo albero camminante con uno strano scettro in mano. “Un Rumit!” Esclama Rocco, che da qualche giorno si è aggregato alla nostra lenta camminata. “Sì, è proprio un Rumit!” Ribadisce sempre più convinto. E ci spiega subito che il Rumit è una maschera che appartiene alla tradizione del suo paese, ossia un piccolo borgo della Basilicata chiamato Satriano di Lucania, ad oltre cento chilometri a nord da qui. Il Rumit, spiega ancora Rocco, è una maschera che si presenta avvolta e cosparsa di foglie rampicanti e tralci d’edera. Un uomo vegetale, un albero vagante, simbolo di povertà e penuria ma anche di legame con la natura, un essere che nasce dai boschi e dai boschi si muove. A Satriano di Lucania la maschera del Rumit (termine che gli anziani usano per indicare l’eremita), l’ultima domenica prima del martedì grasso esce dal bosco per girare tra le strade del paese strusciando il “fruscio”, un bastone con all’apice un ramo di pungitopo o di ginestra, sulle porte delle case. È il suo modo di bussare. Chi riceve la visita del Rumit la considera quale un buon auspicio e dona qualcosa. Rocco ci racconta che la maschera de “u Rumit” nel tempo ha assunto diversi significati: incarna l’eremita che vive ai margini del paese e che, dopo l’inverno rigido, esce dai boschi per chiedere la carità. Oppure può rappresentare ogni individuo che, indigente e povero per necessità o per scelta, è rimasto fedele alla terra natia e ha provveduto autonomamente a cercare un rifugio al di fuori del consesso civile, nel bosco, e vive del buon cuore altrui. In seguito, le vicende dell’emigrazione hanno accostato questa maschera a chi non ha avuto né la voglia né la possibilità di lasciare il paese natio e si nasconde anonimo, ammantato di foglie e vegetazione, alla ricerca di qualcosa da mangiare per affrontare con forza e vigore la primavera. Ora c’è una nuova interpretazione. Le giovani leve lucane hanno intenzione di utilizzare u Rumit per lanciare un messaggio ecologista universale che è un rovesciamento dei valori: il Rumit viene dalla terra a ricordare che essa va conservata per coloro i quali verranno dopo di noi.

Ma cosa sarà venuto a fare fin qui, fino a Laino, a cento chilometri di distanza, a sud, questo Rumit, o per meglio dire questa persona che ora ne indossa il costume e l’abito? Massimo, amico e compaesano di Rocco, ci dice che sicuramente questo Rumit è diretto alla festa di Sant’Antonio (da Padova) a Papasidero, e sarà venuto ad assistere al rito arboreo della “Pita”, che si svolgerà proprio quel giorno. Arriviamo dunque nel paesino con il Rumit a seguito, che si è unito alla nostra compagnia, e veniamo inghiottiti dalla fiera e travolti da una festante banda che suona allegra. Dietro la banda c’è una fila di buoi dalle lunghe corna che trascinano dei lunghi tronchi di alberi. Gli alberi verranno poi ammucchiati per essere venduti in una sorta di asta. Il fusto più alto verrà innalzato e poi scalato dai giovani più ardimentosi. Il rito arboreo della “Pita” (che è il fusto di un abete maturo), segna il legame delle popolazione del Pollino con il proprio territorio e con la natura, unendo al rito religioso in onore di Sant’Antonio una festa suggestiva in cui l’elemento profano svolge un ruolo altrettanto importante, fra tradizione popolare e cultura contadina. Appena arriva il buio si scatena infatti la festa che ha tutto il sapore dei baccanali. Si mangia la “ciambotta”, pane svuotato e riempito con melanzane, peperoni, pomodori e cipolla precedentemente passati in padella. Una delizia!... Frittata e cipolle, formaggi locali, asparagi, pasta al forno, funghi. E vino, e vino, e vino. E poi arrivano le zampogne che al suon di tarantelle fanno ballare anche il Rumit e Cometina.

Non smetto mai di scoprire i mille volti della Calabria e stupirmi dinanzi a così tanta potenza e bellezza. Scendo dal treno, nella stazione della mitologica Sibari, dove mi aspettano Antonella e Michela. Prendiamo la strada che porta a Civita. Il panorama è uno spettacolo mozzafiato ! Appena qualche curva e si scorge il paese con i suoi caratteristici comignoli. Le due amiche sono le fondatrici de "L'osservatorio Donne Pollino", associazione che ha l'obbiettivo di creare un focus permanente sulle pratiche e gli usi rurali dell'area ionica del Pollino, con particolare attenzione alle comunità matrilineari. È chiaro, che mi sto recando in un posto dove si respira un'altra aria; conosco la gente delle comunità Arbereshe, sono più coese di quelle calabre, questo lo so già da tempo, ma qui ho la possibilità di vedere qualcosa in più. Civita ha conservato i ritmi di un tempo. È una fotografia quasi immobile della ruralità, ma nello stesso tempo, mi sento di dare ragione alle parole di Antonella quando mi dice che la sua comunità è avanti, e in effetti, lì c'è il vero "progresso"; credo che faccia parte dell'evoluzione umana tornare a ritmi più naturali, trovare un giusto equilibrio tra il passato e il presente, il vecchio e il nuovo, il moderno e l'antico. Perché progredire significa proprio questo: prendere consapevolezza di dover vivere con pienezza la propria vita!

Parcheggiamo la macchina ai piedi del paese e iniziamo a montare per un vicolo che ci porterà al b&b "La Magara"; lungo il tragitto vengo avvolto da un odore familiare, che ho ben impresso nella memoria olfattiva: il classico profumo delle conserve di pomodoro messe a bollire nei calderoni. L'intensità dell'odore è tale da farmi pensare che l'intero paese si sia messo d'accordo per fare la salsa nello stesso momento. Entro nella stanza che mi è stata assegnata per la notte; una casa in pietra, ristrutturata e resa confortevole, pur mantenendo le caratteristiche strutturali dell'antichità. Apro il balcone e davanti a me si estende un panorama da godere con "mindfulness"; termine che viene spiegato bene nel libro "L'arte di camminare" lo scrittore Adam Ford. Guardo in basso e vedo rocce a strapiombo e calanchi che si estendono verso il visibile mare seguendo la dirittura delle bellissime gole del Raganello. Faccio un profondo respiro, trattengo per un po' l'aria nei polmoni, poi l'apnea mi costringe a rinnovare l'aria, inspirando anche tutto il genius loci circostante: lo spirito che veglia su questi luoghi. Mi siedo, medito, provo una sensazione nuova: qualcosa si muove dentro, le molecole del mio corpo si allineano e si armonizzano, sento muovere l'energia come un silenzioso canto.

La sera, durante la mia esibizione, tra il pubblico c'erano persone che provenivano da vari angoli del mondo. "Mondonauti" come li definirebbe la mia cara amica Darika Montico, viaggiatrice instancabile, che proprio ora sta compiendo il giro del mondo in bicicletta. Sui gradini antistanti "La Magara" sono seduti brasiliani, degli argentini, inglesi e persino una attempata ma bellissima signora di Haiti; sicuramente con un passato da hippy. Una figlia dei fiori cresciuta, diciamo! Questa gente era l'anello mancante per un posto sperduto come Civita; ora in questo paesino si può rallentare il ritmo imposto da una società che va sempre più di corsa, senza però rinunciare agli scambi culturali, all'arte e alla poesia. Che umanità pazzescamente variegata ! Mescolandosi innesca così un processo inevitabile di crescita collettiva. Lo spirito si eleva ad un livello tale di umanizzazione da riconoscere nell'altro il "fratello". Sentimento ormai perduto nelle spire dell'errato mito di Caino e Abele, che ci condiziona mettendoci l'uno contro l'altro. Qui, invece, tutto trasuda fratellanza e comunità, forti del pensiero che tutti viviamo sotto un unico cielo. L'amore può costruire dei solidi ponti, sui quali far transitare: rispetto, fiducia, condivisione.

Nell'aria c'è profumo di autunno che bussa alle porte, le vigne sono mature per essere munte e ricavarci quel buon nettare "Di-vino". Proprio come quel vino che stavamo sorseggiando, prodotto da una signora, mi raccontano, che continua a farlo da sola anche dopo morte del proprio marito; alla sua memoria continua il rito di raccolta, pigiatura, fermentazione, travaso e imbottigliamento. Inutile chiedere se utilizza prodotti chimici o di sintesi per produrre il vino, e guai a chiedere se è un vino bio, parola mai entrata nel so lessico poiché lo fa naturalmente biologico, anzi sarebbe ancora più corretto dire in modo naturale.

La mattina successiva, mi sveglio un attimo prima del canto del gallo. Lo stesso che infastidiva una signora americana che ha soggiornato lì -mi racconta ironicamente Antonella- per sottolineare che ormai ci stiamo "snaturando", non riconosciamo più madre terra, non seguiamo più i cicli naturali. Non mi sorprende il fatto che dopo qualche giorno dice di averla vista tornare ad una serenità più umana. Seduti nell'ospitale cucina de " La magara", durante la colazione, Antonella mi dice poi che qualche anno fa decise di lasciare la vita mondana dei Navigli a Milano, per tornare nella sua terra, ad una vita più sobria, fatta di piccole cose, di relazioni; come quelle che ha instaurato con le anziane del paese, coinvolte sistematicamente nei sui eventi. Sul tavolo della colazione trovo dei piccoli fichi neri, caratteristici di questi luoghi, quelli buoni per farci "u meli i ficu": la melassa di fico che si prepara bollendo e setacciando più volte il frutto per arrivare ad ottenere una sostanza mielosa utilizzata per dolcificare i tradizionali dolci. Il nostro dolcificante, genuino, non raffinato e soprattutto non cancerogeno, a dispetto di quello consumato comunemente ovunque; altro che lo zucchero è vita come recitava una famosa pubblicità di qualche tempo fa !

La magara significa strega: donna che la tradizione vuole con poteri straordinari, conoscitrice di pratiche dimenticate. Ora sono tornate, solo che queste nuove streghe, dalle loro alchimie stillano: socialità, contatti umani e fraterni che ormai la nostra modernità sta dimenticando, l'amore per la terra e la voglia di riscatto. Ebbene se volete vedere il futuro dovete venire qui a Civita, qui dove le streghe hanno una sfera magica e il futuro non solo lo vedono ma lo "attuano".

                                             MAGARE

Pensavo di essere in paradiso oppure in un sogno, invece mi trovavo a Utopiaggia. Ecovillaggio situato sulle colline umbre. Popolato da un gruppo di belle anime che da più di 30 anni vivono con l’obbiettivo di essere più possibile autosufficienti almeno per quanto riguarda il cibo. Cicli e ritmi lenti tra agricoltura, artigianato e pastorizia. Queste persone si riscaldano davanti a camini in case costruite con pietra e legno. Mentre le pareti sono scaffali pieni di libri. Entro in una di queste accoglienti case e trovo un gruppo di persone impegnate a preparare il pranzo per l’intera comunità. Non è sempre così, mi dicono, ma non è raro neanche che accada. Passo da un’altra casa e qui trovo un gruppo di bambini: chi gioca, chi studia, chi piange perché reclama la poppata al risveglio, chi suona un pianoforte. Scopro in seguito che alcuni genitori a turno si adoperano a fare da insegnante, attuando il principio della scuola familiare. Alcuni genitori sono musicisti mentre altri di professione fanno gli acrobati. Probabilmente i figli sono coloro che nel cortile si allenavano a fare salti e ruote. E’ periodo di raccolta delle olive, in questi giorni più del solito, il villaggio è popolato di ragazzi che vengono da tutto il mondo. Si sentono parlare tante lingue. Scendo un sentiero ricoperto di ghiaia bianca che brilla al sole e in un terrazzamento trovo Chris intento a sistemare l’orto sinergico per l’inverno. Si parla un po' di permacultura. Tempo di quattro chiacchiere e il sogno è già svanito. È tempo di ripartire! Ma c’è ancora il tempo di incontrare alla stazione due dei membri più anziani. Stavano rientrando da una gita che la coppia si è regalata per festeggiare il compleanno di uno dei due. C’è stato inoltre anche il tempo di di consumare una zuppa di porri e un bicchiere di vino ad un ristorante Bio di loro conoscenza. Al tavolo lei mi ha parlato di come tinge la seta con colori naturali estratti dalle piante e lui di quello che scrive su varie riviste di agricoltura biologica e vegana. Ma ora il tempo è davvero scaduto, devo andare a prendere il treno. Saluto mentre li vedo allontanarsi mano nella mano. Giusto il tempo di capire, attraverso questa immagine, che è sempre tempo per credere nell’amore.

                                         Utopie Realizzate

                               Andare a suonar per boschi

La primavera si fa sentire, sbocciano le prime gemme sugli alberi, i primi fiori, i primi amori e sgorgano allegre canzoni dalle bocche di chi ha come fedele compagna la gioia di vivere. È il naturale cantare e suonare di chi celebra quotidianamente il proprio amore verso madre natura. Per questo viene spontaneo imbracciare uno strumento ed andare a trovare amici. Sono arrivati in Calabria degli anziani elfi, provenienti dalla Valle degli Elfi. Una grossa comunità di quindici nuclei, situata sulla catena montuosa della Porrettana, tra l’Emilia e la Toscana. Borghi antichi recuperati e insediati da persone che, già dagli anni Settanta, hanno deciso di vivere lontano dalle illusioni capitalistiche, autogestendo il proprio tempo e producendosi il necessario per vivere. Coltivatori, artigiani, artisti, hippy, figli dei fiori ...o meglio, il popolo della madre terra; gente allegra, sobria, che gode del poco, e ama la natura riconoscendola come unica divinità da venerare e rispettare. Questi strani personaggi portano nomi che si rifanno ai racconti di Tolkien e dopo aver lavorato nella terra, si riuniscono intorno al fuoco, come facevano i nostri avi, per cantare e ballare. A noi elfi viene naturale incontrarsi per suonare. L'appuntamento è presso il bosco dell'Arcipelago Sagarote. Teresa e Primavera, le asine che vivono in questo luogo, sono le prime a darmi il benvenuto con un dissonante raglio; a seguire vedo la sagoma di Sergie con la fisarmonica in grembo intento ad intonare una vecchia mazurca francese. Ci salutiamo con un abbraccio e ci rechiamo sul posto. Ad attenderci c'è una coppia di francesi, che hanno intenzione di realizzare un docufilm sulla realtà dell'arcipelago e le disabilità. Approfittano del nostro incontro musicale per catturare con un registratore ambientale qualche suono, qualche canzone, che in seguito monteranno sulle immagini. Il registratore ci inibisce e ci fa sentire poco spontanei, ma dopo le prime note la musica prende il sopravvento. Dimentichiamo il registratore e ci lasciamo trasportare dalle note diventando un tutt'uno con madre natura e le sue manifestazioni: gli uccellini duettano con il flauto suonato da Nevio, Gregorio con la sua sensibilità di ragazzo speciale fa stridere l'archetto della lira, mentre Frida, una cagnetta bianca, corre tra le foglie quasi a scandire il tempo. Così questa domenica di aprile abbiamo celebrato l'arrivo della primavera, con una delle più belle espressioni artistiche: la musica.

                                         GOCCE D’ARTE

Arrivo alla stazione, vengono a prendermi per andare in uno dei salotti del circuito della rassegna artistica di Gocce d'arte. Per strada oltrepassiamo un cartellone stradale che segnala Reggio Nell'Emilia. Katia mi comunica con voce emozionata che abbiamo un numero di persone maggiore di quanto previsto. Adesioni inaspettate. Gocce d'arte è un evento che rientra nella categoria degli House Concert, ma è anche qualcosa di più! Spazi privati che si aprono all'arte e alla cultura. Una risposta ad una società appiattita, dove vige l'individualismo, condizionata da un sistema "Produci, consuma, crepa"; concetto coniato proprio in questi territori. Una risposta ai pochi luoghi pubblici, dove gli artisti possono esprimersi liberamente. Arti e messaggi che fanno fatica a trovare spazio nei circuiti convenzionali. Dimostrazione che è possibile sostenere l'arte dl basso, senza dover passare attraverso gli ingranaggi dei finanziamenti pubblici, che in molti casi si rivelano uno spreco dalle proposte mediocri. Imbocchiamo una stradina sterrata che ci porta nelle campagne fino a ritrovarci dianzi una struttura dai mattoni rossi, certamente era una masseria che la modernità ha trasformato in un bead and breakfast, luogo di accoglienza e condivisione. L'arte può contrastare la violenza; è la prima cosa che mi dice Patty appena entro nella sua bellissima casa, ancora rattristita dagli eventi appena accaduti a Parigi. La porta della cucina tempestata da vari manifestini di carattere informativo, il camino acceso, per la sala dove si terrà lo spettacolo tanti cuscini sparsi a terra. Ad accogliermi il sorriso di alcune persone arrivate in anticipo e cinque ragazzi africani. Man mano arrivano anche gli altri. Ognuno da casa porta qualcosa di pronto da mangiare, la proposta culinaria è prevalentemente vegetariana. Forse, un po', influenzati dalla mia presenza. Un poco anche perché sempre in di più si inizia ad essere sensibili e rispettosi verso un ecosistema malamente inquinato dagli allevamenti intensivi. Cibo e vino di alta qualità anche perché impregnato dagli umori e cucinato da mani gioiose. Forse anche un poco eccitate dalla serata che l'attende. Inizia lo spettacolo e vedo dalla mia posizione privilegiata le facce, ad una a una; espressioni di meraviglia, stupore, chi trattiene una lacrima, chi annuisce perché d'accordo con il testo dello spettacolo. Le parole scorrono come fiumi. Parole che rimbalzano sulle pareti e vanno a cadere sulle orecchie dei presenti per stimolare i pensieri a beneficio dell'intelletto. Bene! Direi obbiettivo raggiunto, volendo considerare i tre stadi dell'arte: ludica, creatrice di coscienza e terapeutica. Poi tutti a casa propria pieni di nuove possibilità e alternative !

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A camminare ci si sente liberi, sai che puoi contare solo sulle tue gambe e che non ha costi aggiuntivi per lo spostamento; non devi pagare il carburante, la manutenzione, l’assicurazione. I tempi di percorrenza sono massimo di quaranta chilometri, più o meno dall’alba al tramonto. L’unico impegno che hai è quello di arrivare alla meta, ammesso che esista una meta. I tempi si dilatano e hai tutto il tempo di pensare a quello che sarà all’arrivo. Non hai bisogno di andare a lavorare per vivere la quotidianità. Già sei nell’azione, è tutto racchiuso in quello che fai nell’adesso. L’azione è comunque rilassata. Nel camminare il corpo lavora e sta bene, diventa più forte. Non devi mettere in programma e trovare il tempo di andare in palestra. A camminare ci si sente vivi, contenti, allegri. Ti inebriano i colori, gli odori, il paesaggio. A camminare si affina lo sguardo, cresce la curiosità. A camminare nascono in testa i pensieri, ragionamenti, domande. Viene voglia di inventare canzoni. Camminare è conoscere, si fanno incontri interessanti. Al tuo passaggio si aprono le porte delle case, la gente ti invita ad entrare e a sedere alle loro tavole. A bere e raccontare. È esplorare mondi nuovi. Camminare a volte ci mette alla prova. Migliora le idee, i progetti che hai in mente. Nascono fantastiche storie, anche se sei triste o arrabbiato. Camminare ti fa sentire meglio. A camminare si conosce meglio il mondo che è vicino a te. Aristotele con i sui discepoli discuteva di filosofia camminando. Anche nel libro La Città del Sole, di Tommaso Campanella, i ragazzi erano avviati al sapere camminando lungo le mura della città dove vi erano raffigurate le nozioni da apprendere. Oggi per noi camminatori è diventato tutto più difficile; hanno costruito città e strade a dimensione di automobile. Da un certo punto in poi della Storia l’uomo ha iniziato a pensare di discendere dalle macchine. Parcheggio sotto casa, parcheggio al centro commerciale, creando barriere e dimenticando che camminare è un atto primordiale, naturale e spontaneo. Mi sento vivo, quando percorro i sentieri del Monte Pollino, questa antica e meravigliosa montagna che gli antichi greci avevano dedicato molto probabilmente al Dio Apollo, il guaritore, colui che ha il potere di scatenare o di allontanare le pestilenze. Montagna venerata per la sua maestosità, la bellezza e l’abbondanza dei frutti. Già nei secoli passati era celebre per la varietà delle sue erbe aromatiche e medicinali, che crescono spontanee e preziosissime, tanto decantate per le loro virtù terapeutiche, in grado di curare la mente e il corpo. Il vero viaggio si fa con la grazia dei piedi, mentre gli altri non sono viaggi, sono solo spostamenti!

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CAMMINARE LIBERA I PENSIERI 

Tratto dal libro “VIAGGIOLENTO NEL POLLINO, in cammino con il cantastorie”

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